Un dossier in preparazione sui nuovi euromissili ad Est e Ovest - all'autrice è stato negato l'ingresso negli USA.
Da parte di Alfonso Navarra - coordinatore dei Disarmisti esigenti (in relazione al lavoro della delegazione partita a New York per la Conferenza ONU sul bando delle armi nucleari,
(Nota bene: ad Olga Karatch, l'attivista bielorussa di "Our House", con la quale collaboriamo nel progetto di dossier sui nuovi euromissili, già candidata nel 2024 al premio Nobel per la pace, è stato negato il visto di ingresso negli USA.).
Affrontiamo il problema del ritorno degli euromissili in Europa, sia ad EST, con le testate russe in Bielorussia, sia ad Ovest, con i nuovi Cruise (all'inizio convenzionali) che saranno installati in Germania nel 2026 in seguito ad un accordo con gli USA del governo Scholz (appena mandato a casa dagli elettori il 23 febbraio), recepito dalla NATO.
Cominciamo, tratta dal sito internazionale della Campagna ICAN, con la descrizione fornita da Olga Karatch sulle armi nucleari russe in Bielorussia. L'articolo, che va aggiornato, riassume il contesto storico, l'attuale situazione politica e i preparativi pratici e logistici per lo stazionamento, il trasporto, lo stoccaggio e lo stazionamento di armi nucleari in Bielorussia, una decisione che - a giudizio della fondatrice di Our House - e a nostro giudizio - ha gravemente compromesso la sicurezza dei bielorussi.
Il tipo di missili citati da Olga nel suo articolo e gli altri in arrivo secondo gli annunci di Putin e Lukashenko sono collegabili alle escalation nucleari per intrinseche caratteristiche tecniche e per la dottrina militare russa. La Russia prevede nella dottrina militare l'uso di armi nucleari tattiche in caso di minaccia esistenziale o per "de-escalation" di un conflitto, suggerendo che questi missili potrebbero essere usati in una fase iniziale di una guerra limitata.
La posizione di questi missili in Bielorussia permette di colpire rapidamente obiettivi in Polonia, Germania e nei paesi baltici, attaccando l'equilibrio del potere militare con la NATO. Il posizionamento di tali sistemi aumenta il rischio di errore di calcolo o risposta anticipata da parte della NATO.
In sintesi, non è in gioco solo la sicurezza dei bielorussi, ma la sicurezza di tutti noi europei (e non solo!), perché la questione dei nuovi euromissili è la questione dello scenario di una guerra nucleare limitata in Europa (al "teatro semicontinentale europeo", per essere tecnicamente più precisi); uno scenario che ridiventa attuale, dopo essere stata praticamente chiusa dagli accordi INF (Forze nucleari intermedie) del 1987, frutto anche della ondata di mobilitazioni che ebbe in Comiso la sua città simbolo.
La vicenda dei missili "occidentali" annunciati per la Germania in risposta ai missili russi in Bielorussia (e nell'enclave russa di Kaliningrad) evoca il parallelo storico della crisi degli euromissili degli anni '80, quando l'URSS e la NATO dispiegarono missili a corto e medio raggio in Europa, aumentando il rischio di uno scontro nucleare. Come allora, una grande ondata di mobilitazione popolare dal basso, sia ad Est che a Ovest, con l'obiettivo preciso della denuclearizzazione europea, può invertire la tendenza al riarmo e alla guerra.
Fu proprio Trump a disdire, nel 2019, gli accordi del 1987 tra Reagan e Gorbachev sui missili a medio raggio (dai 500 ai 5.500 km); ed ora, rieletto, propone un accordo a tre, includente la Cina, non solo la Russia. E' la "NUOVA YALTA", un contesto, non attinente alle sole armi nucleari, in cui non ci riconosciamo valorialmente e strategicamente, che però presenta delle opportunità da saper cogliere in quanto pacifisti seri e non ideologici.
Il Trattato di proibizione delle armi nucleari - TPNW, giunto alla sua terza riunione, quella che vede adesso la nostra partecipazione attiva, proibisce non solo l'uso o la minaccia di uso di armi nucleari, ma anche il loro stesso possesso.
Anche gli Stati dotati di armi nucleari possono concordare, in conformità con il "percorso umanitario" emerso nel TPNW, che le conseguenze catastrofiche di uno scontro "atomico" debbano essere prevenute. Questi Stati, al di là della crisi in Ucraina, possono benissimo impegnarsi a ridurre i rischi nucleari: non devono verificarsi situazioni in cui si presenti la possibilità di usare armi H. Ciò è del tutto nel loro interesse.
Le organizzazioni della società civile, nell'agosto 2022, all'ultima revisione del Trattato di non proliferazione TNP (un trattato distinto e separato dal TPNW, va sempre precisato ai nuovi attivisti che si accostano alla materia), hanno fatto pressione sulle potenze nucleari: non dovrebbero mai essere le prime a lanciare un attacco nucleare, adottando così il principio del "No First Use" - NFU.
La suddetta conferenza ONU di revisione del TNP ha fornito un feedback anche se non ha approvato un documento finale. Questo disaccordo non significa che gli obblighi stabiliti nell'articolo VI del Trattato ("noi potenze nucleari ci impegniamo a trattare e conseguire il disarmo nucleare") non siano più validi. E in effetti la Campagna NFU ha una base da cui partire: la dichiarazione congiunta emessa a gennaio 2022 dai leader di Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia e Cina, che afferma che "una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta".
Quanto alla potenza che, anche sotto pressione popolare, può prendere l'iniziativa, possiamo pensare alla Cina, attualmente la meno ostile alla via umanitaria e l'unica ad aver adottato la NFU nella postura nucleare, e lo spieghiamo nel nostro working paper.
Possiamo indicare, come primo sostenitore di questa idea della NFU, il fisico Joseph Rotblat, l'obiettore di coscienza del Manatthan Project, per molti anni presidente del movimento PUGWASH. A suo avviso, la Campagna per un NFU sarebbe stata il passo più importante verso l'abolizione totale delle armi nucleari: Rotblat ha chiesto la creazione di un trattato a tal fine. Ciò che possiamo proporre in modo più esteso e specifico è - sotto il controllo dell'AIEA - l'indicazione di misure di riduzione del rischio che accompagnano la dichiarazione congiunta della NFU da parte delle potenze nucleari: de-alerting, separazione delle testate dai loro vettori, riduzione e riqualificazione del personale e divieto di utilizzo dell'AI.
Abbiamo infine altri due percorsi strategici da avviare e perseguire: quello che potremmo chiamare Helsinki 2 e il progetto di Costituzione della Terra. Di essi parliamo in modo più esteso e approfondito in altre sezioni del nostro sito web.
ARMI NUCLEARI IN BIELORUSSIA: COSA SAPPIAMO di Olga Karatch*
- Olga Karach is a Belarusian Human Rights Defender and a leader of the Human Rights Advocacy Organisation Our House.
Dopo il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991, un numero significativo di armi nucleari è rimasto sul territorio della Bielorussia, così come in altre repubbliche post-sovietiche: Ucraina e Kazakistan. Essendo diventata uno Stato sovrano, la Bielorussia si è trovata di fronte a una scelta difficile: mantenere le armi nucleari sul suo territorio o trasferirle alla Russia e aderire al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP) come paese libero dalle armi nucleari.
In quel momento storico, la Bielorussia ha fatto la sua scelta.
21 anni fa, il 22 luglio 1993, la Repubblica di Bielorussia ha aderito al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP). Dopo aver firmato nel 1992, insieme al Kazakistan e all'Ucraina, il protocollo di Lisbona al trattato del 1991 tra l'URSS e gli Stati Uniti sulla riduzione e la limitazione delle armi offensive strategiche (START), la Bielorussia si è impegnata ad aderire al TNP come Stato non dotato di armi nucleari ed è diventata parte a pieno titolo del trattato fino alla sua scadenza nel dicembre 2009. La Repubblica di Bielorussia è diventata il primo Stato a rinunciare volontariamente alla possibilità di possedere armi nucleari rimaste dopo il crollo dell'URSS senza alcuna precondizione o riserva. Il ritiro delle armi nucleari dal territorio del paese è stato completamente completato nel novembre 1996.
Per il testo completo dell'articolo: